Main menu

Lame

Adriana Bolfo
galleria BALESTRINI
Albissola luglio 1995

Ancora scultura dipinta: tavole dai colori del cielo, della terra e del fuoco attraversate da Lame. Il titolo privilegia il particolare piuttosto che l’intera opera, quei muri così a lungo dipinti che ora vengono tagliati.
Fino ai Muri, a partire dai lavori che si valgono di tende o drappi, realtà e simulazione, hanno giocato ciascuna una parte in cui la protagonista è la materia. Prima la tela morbida e sensuale atta a rappresentare la ‘scena’ che è, comunque, la finzione artistica, poi, dolce e sobrio il legno dipinto a colori tenui, lavorato soprattutto in levare, a fingere la consumazione casuale prodotta dal tempo tra la distrazione dei più.
Il legno torna nelle Lame, insieme verosimile ma non ‘dato’ in natura, sotto forma di piano di posa di oggetti sottili e slanciati, lamine lignee esse stesse che tagliano legno e colore attraversando le tavole nel senso dello spessore e della lunghezza: colore su colore, rilievo su piano di fondo, a sua volta in evidenza tramite il colore sulla parete, su cui marcano ombre e rilievo le lamine quando, uscite dal ‘quadro’ in verticale o a raggio, si proiettano nello spazio che è la parete – nuovo supporto – campo dell’intera composizione.
Persuader della finzione è il fine dell’arte, la meraviglia consiste nell’accorgersi quanto la riuscita finzione sfugga al controllo di chi guarda.
Nei Muri il legno diventa muro quietamente osservabile o negletto; nelle Lame il medesimo materiale origina forme opposte di necessaria complementarietà: il legno taglia il legno, la lama il muro, in finzione duplice. A contesa due elementi, certo e temibile l’evento: su corpo morbido, ferite di impossibile casualità.
È speranza illusa che la lama casualmente ‘cada’ in quel punto, in quel momento: nel disporre colore e cose – cielo fuoco terra – l’artista demiurgo ha ordinato tutti gli spazi, i ‘vuoti’ condizionati dai ‘pieni’ e da quei taglienti raggi che li attraversano.

Con le attuali Lame la Camurati itera e raddoppia la simulazione già caratteristica dei cicli scultorei precedenti, i Muri (1986) e i lavori con la tela (1982) – i cui colori e materia, sono temi e strutture della comunicazione.
Come la tenda-tela, la tenda-sipario e la tenda-involucro sottolinea la finzione di cui, comunque, l’arte vive, così il legno simula il muro sbreccato e corroso e, tramite il colore, conferisce bellezza all’oggetto povero.
Realizzati con minimi mezzi i cicli della tenda e del muro costituiscono episodi di elegante poverismo grazie alla leggerezza del materiale e al colore, elemento a cui viene conferito ruolo non marginale, fermo restando l’interesse alla materia: la tela in un primo momento ed il legno in seguito, come per esperire altre possibilità illusionistiche.
Per sfumature diverse la produzione recente è tridimensione e colore: l’opera vive di vita propria non in funzione né della conservazione fotografica né dell’intervento estemporaneo né di una attrezzabile o smontabile scenografia. Dalle acqueforti o acquetinte (1974-75), la Camurati è pervenuta alla colorata scultura in parete, luogo e tempo fuggevoli indicati dall’episodio concettuale del filo a piombo, sono divenuti luogo e tempo intrinseci all’opera nella relazione drammatica delle sue parti. Dalla tela che interpreta se stessa, al legno che simula il muro, al legno che origina verosimili e riconoscibili due ‘opposti’, in un insieme di pura invenzione: il percorso è uno per tappe similari. Dopo il gioco scenico e l’autopresentazione, l’opera ora aspira a comunicare continuamente per un tempo non limitato all’attimo: finzione e progetto, illusione e realtà sono in essa racchiusi, compresenti.