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La fabulazione del silenzio

Giorgio Cortenova
La fabulazione del silenzio
Centro Internazionale della Grafica
Venezia 1980

Vi sono alcuni “silenzi”, nell’arte, che si presentano inauditi, sfacciatamente rinchiusi in una loro intangibile interiorità.
Forse perché, evidentemente, esistono alcune “qualità” del silenzio cui l’arte accenna, cui allude con una convinzione radicale e perciò forte e fragile nello stesso tempo.
Vi sono poi “assenze” dichiarate e risentite, che sono tanto ricche d’improbabilità e di desiderio, da divenire proprio per questo presenze capaci di assorbire in se stesse gli spazi e di riempirli espandendosi epifanicamente in essi.
Vi sono inoltre dimensioni fabulatorie che rinunciano alla fabulazione descrittiva e si rifanno, invece, al disciogliersi del linguaggio in una sorta di fluidità gelida, mentale, pronta a congelarsi sotto i nostri occhi come una lama di ghiaccio.
Vi sono anche pulsioni che insorgono sotto il segno, all’interno della stesura stessa del colore: non saprei come chiamarle se non “pulsioni desideranti”, mortali frecce di Eros che ci conducono, però, nel ventre della vita.
Vi sono, infine, riti e ritmi preparatori che non preparano a nulla, perché questo, infatti, è il loro scopo: aprire le porte sul nulla, galleggiare nel vuoto respirandolo a pieni polmoni; essere, insomma, azioni che non si traducono in fatti, in cose, di nuovo in azioni, ma invece si fermano sulla soglia e, trattenendo il passo, evidenziano la presenza di quell’assenza (e mi si scusi l’assonanza) di cui si parlava.
A questo punto un critico (chi scrive) si accorge di aver tracciato una sorta di profilo e che, parlando di alcuni aspetti dell’arte, ha forse puntualizzato in particolare quelli più quotidiani in un’artista: Delfina Camurati.

Il gioco della Camurati è tutto calato dentro quei territori di silenzio, di assenza, di pulsioni, di fabulazione che si congela e, come una bocca sbarrata, rilancia il dialogo in una dimensione mentale.
Ma ciò che alimenta il tessuto del suo lavoro è il fatto di trovarci davanti ad entità manipolabili, che possono esser collocate in un certo modo e poste in un certo luogo. Vorrei essere chiaro e dunque cercherò di esemplificare con un’immagine figurata.
La Camurati si serve di queste “qualità” dell’arte come si trattasse di forme vere e proprie, nelle quali si possa intervenire con diverse modifiche e con cui agire attraverso accoppiamenti, dislocazioni e scontri dialettici.
Infatti, a lei, tutto ciò è possibile, e allora mi accorgo di trovarmi senz’altro davanti allo spaesamento delle tecniche (la fotografia posta in mezzo alla pittura), alla tautologia concettuale della scrittura, al trompe l’oeil di tradizione onirica, ma mi rendo conto, però, che queste varie strategie d’azione mettono in moto quelle dimensioni di cui sopra.
Il trompe l’oeil si trasferisce nel velo ingannevole della presenza e dell’assenza; lo spaesamento riguarda il silenzio che all’improvviso si spalanca in mezzo alla fabulazione, riguarda la freccia fulminea di Eros, immagine mai veduta ma insorgente a livello mentale, vibrata tra un affiorare di pulsioni all’interno di quel vero e proprio campo elettrico che è la superficie blu, tanto ricorrente nei lavori della Camurati.